di Sebastiano Casella
Roma di pieno agosto che cuoce a fuoco lento, le strade che attraversano una città irreale. Scatta il rosso ad un incrocio. Mi fermo giusto al centro di un fazzoletto d’ombra, mentre ascolto il silenzioso respiro del mio motore al minimo.
E’ in quel momento che li sento arrivare, da dietro. Un coro disordinato e gracchiante che mi passa d’improvviso sopra la testa, ad una ventina di metri d’altezza, e imbocca l’Appia come una ventata di foglie risucchiate da una corrente invisibile, sfilando sulle cime degli edifici con un volo scomposto, fino a svanire in lontananza nell’immagine ben distinta di tante piccole macchie palpitanti verdi e gialle.
Uno stormo di pappagalli, a Roma. Effetto del caldo, mi dico: quelli non sono dei pappagalli. Non ne parlo con nessuno. E poi, col tempo, me ne dimentico.
L’altro giorno, però. Quarto Miglio, a poca distanza dal punto del primo avvistamento. Una cinquantina di uccelli tropicali mi superano fulminei, contromano, vociando come una scolaresca all’uscita di scuola, e schiamazzando s’imbucano nel mezzo di un gruppo di pini mediterranei, ai margini della trafficata arteria capitolina.
Ora non ho più dubbi. Alla periferia sud di Roma vive, assolutamente libera e ben ambientata, una colonia di bellissimi pappagalli, di specie non identificata, che da tempo imprecisato svolazza a piacimento lungo il tratto dell’Appia che conduce fuori città.
Un mistero, un miracolo, un presagio buono, un monito. Cosa ci faccia uno stormo di pappagalli tropicali sulle nostre teste, come ci sia finito, chi ce l’abbia messo e perché, sono tutte domande che attendono una risposta. C’è un limite a tutto, anche alla meraviglia. E se un giorno, coi tempi che corrono, ci ritrovassimo dei pellicani sulla scalinata di Piazza di Spagna, come dovremmo comportarci?
La presenza stabile di fauna selvatica, che per motivi diversi tracima dal proprio habitat naturale per avvicinarsi agli insediamenti urbani, è tipica di altre latitudini.
A Panamà per esempio, in pieno centro, quando il sole comincia a tramontare, gli alberi di Via Argentina si colmano dell’agitazione delirante di migliaia di pappagalli che discutono e si dimenano per spartirsi lo spazio ramoso dove appisolarsi.
Ninoska Garcia Paz, oltre che essere considerata una delle migliori guide naturalistiche del Nicaragua, è a capo dell’ufficio stampa della Commissione Municipale di Turismo di San Juan del Sur, la più bella località balneare del piccolo paese centroamericano, pochi chilometri dalla frontiera con il Costa Rica.
Nel suo comunicato mi segnala un’emergenza, l’ulteriore squarcio distruttivo arrecato dal progresso irresponsabile all’equilibrio perfetto della natura.
A quanto pare, anche lì hanno gli stessi nostri problemi. Il problema sono sempre loro, i pappagalli. Roma come Managua, chi l’avrebbe mai detto. La Lora Nuca Amarilla, che dal 2003 è stata inserita tra le specie di volatili ad altissimo rischio d’estinzione, ha rinunciato alla selva tropicale per insediarsi a ridosso dei centri abitati di San Juan del Sur e Managua, dopo che hanno avuto inizio delle opere di disboscamento intensivo. Ora, però, rischia di non sopravvivere al nuovo adattamento in un ambiente decisamente poco compatibile.E senza neppure immaginare che sulla Via Appia, forse, nell’inferno di smog che attanaglia le nostre misere esistenze metropolitane, la Lora Nuca Amarilla starebbe pure meglio.
[ via Agorà Magazine ]